Versione in ricostruzione

Specialità

Non fatevi ingannare dal titolo, non c’entra niente il cibo. Stavo pigramente cercando delle scuse per non studiare, perchè nonostante so sappia(si ringrazia Valefatina per la bacchettata sulle nocche) di doverlo fare (ed anche tanto) la voglia di studiare è bassa come mai fino ad ora. Forse dipende dal fatto che sono quasi due anni ormai che non mi prendo una vacanza dallo studio, ma non sono qui per parlare di questo. Dicevo, stavo cercando delle scuse per non studiare, e la mia scusa preferita per perdere tempo è Twitter e mi è capitato di leggere questo tweet…


Non seguo neanche questo account, mi è stato ritwittato da qualcuno (e se non sapete cosa significa o cos’è Twitter, vi rimando al mio precedente articolo Twitter – Guida semiseria per persone reali) però grazie ad una catena di pensieri di cui forse Joyce sarebbe orgoglioso, mi sono ricordato di una lezione di conversazione Inglese di quando facevo il secondo o terzo anno di liceo.
Non ricordo precisamente di cosa si parlasse, né come mai siamo arrivati a parlare di quell’argomento, ma ricordo che quel ramo della discussione ci aveva portato a riflettere sulla nostra unicità e su cosa facevamo di particolare per essere unici. Me la sono sempre cavata bene in Inglese, in massima parte grazie alla Nintendo che fino a qualche anno prima non ha mai tradotto un suo gioco in Italiano, e poi grazie ad Internet. Ma sto di nuovo divagando. Quella discussione però non mi entusiasmava e quindi sono rimasto ad ascoltare le idee degli altri senza intervenire. Non ricordo con esattezza cosa gli altri stessero dicendo, ma ricordo che la mia opinione al riguardo era che fossero una manica di stronzate. Si trattava, più o meno, di cose speciali che ciascuno faceva. C’era chi ascoltava rock o metal o grunge (si chiamava così? Boh!) chi si vestiva in modo “particolare”, chi pensava con la sua testa… Insomma roba di questo genere, all’incirca. Poi la professoressa, probabilmente notando il mio silenzio e forse credendo che stessi pensando a qualcos’altro, mi ha chiamato ad intervenire, chiedendo qualcosa del tipo “And what do you do to be different?”.
La mia risposta è stata “nothing”, e l’espressione della professoressa è cambiata. Quella prof. è una vera forza, è simpaticissima e fa battute ed espressioni favolose. Quell’espressione era tra lo stupito ed il curioso, così mi chiese di argomentare.
“Well, why you don’t do anything to be special?”
“Because I just am. I mean… There’s no need to try to be different or special, I already am different.”
Non sono sicuro di averla convinta con quella risposta, ma è esattamente quello che pensavo, e che penso ancora oggi. Non vedo perchè dovrei dimostrare agli altri di essere diverso, quando è evidente che lo sono, senza che io faccia niente di particolare per farlo notare. E non è che questo dipende da me, dovrebbe essere così per tutti, solo che (per lo meno ai tempi) i miei compagni di classe erano fermamente intenzionati ad essere “diversi” e quindi nel tentativo di essere più diversi dagli altri, finivano con l’essere tutti diversi nello stesso modo.

1 commento

  1. ilbuonfabio

    Condivido in pieno il ragionamento, dagli anni ’60 in poi il voler essere anticonformisti a tutti i costi è il vero conformismo. Certo però che anche tu c’eri arrivato già in terza liceo!

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