Ci sono diversi modi di dire che riguardano la buona e la cattiva sorte e l’inevitabile alternanza tra le due. Ne ho sentiti nominare diversi da ogni genere di persona di ogni fascia di età. Tra il karma e le ruote che girano, per qualche motivo io ho fatto mia l’analogia postale del turno.

In coda alle poste si litiga spesso per questo motivo, perché qualcuno prova a fare il furbo e a scavalcare gli altri in fila. Negli anni e grazie alla digitalizzazione, sono state adottate soluzioni nuove per questo problema antico… Anche se, a dirla tutta, secondo me la toppa è peggio del buco. Ad ogni modo, forse perché sono cresciuto con i miei nonni, che per un motivo o per l’altro con le poste avevano spesso a che fare, o per qualche altra imprecisata ragione, quando mi trovo a parlare del fatto che prima o poi la sorte cambia per tutti, o che tempi migliori arriveranno, lo faccio in termini di “turno“. Prima o poi tocca a tutti essere felici. Così come tocca a tutti essere tristi del resto, ma non ho conosciuto persone che aspettavano con ansia il loro turno di essere infelici. Ho conosciuto diversa gente, invece, che ha fatto della rassegnazione alla cattiva sorte uno sport olimpico. È passato talmente tanto tempo dall’ultima volta in cui è stato il loro turno, se mai ce ne fosse stata una, che ormai neanche si ricordano com’è, né credono più tanto al fatto che capiterà di nuovo. Si limitano a sopravvivere, con spirito di sacrificio, perché escludendo soluzioni estreme, molte alternative non ce ne sono.

Non facevo parte di questa categoria, fino a qualche anno fa. Ero fiducioso che il mio turno sarebbe arrivato, come del resto continuavano a ripetermi tutti quanti e anche senza sapere di preciso perché tutti ne fossero così convinti, mi sono lasciato convincere anche io. È successo, in effetti, anche se a voler discutere con l’impiegato allo sportello (cosa che, nella maggior parte dei casi, comunque non porta a niente di buono), non è che sia durato così tanto, rispetto a quanto non sia durata invece l’attesa.

Così in breve, ero tornato in fondo alla coda, con in mano il foglietto di carta con su scritto il mio numerino, ad aspettare pazientemente che fosse di nuovo il mio turno. Complici tutte le volte in cui ne ho sentito parlare, e complice anche la mia pazienza inesauribile, non mi sono mai preoccupato più di tanto di quanto ci volesse a smaltire la coda, di quanto dovessi aspettare perché fosse di nuovo il mio turno. Di tempo ne avevo in abbondanza, dicevo a me stesso senza neanche rifletterci. Passavo le giornate ad aspettare che la maledetta coda scorresse, e che finalmente sul display luminoso apparisse il numero che sanciva l’inizio del mio turno.

Il tempo passa inosservato mentre aspetti che succeda qualcosa che non sai neanche cosa dovrebbe essere. I giorni si mescolano tra loro, indistinti, si sommano velocemente in mesi che si impilano l’uno sull’altro senza far rumore. La spesa da fare, la lettura del contatore dell’acqua, bisogna comprare i regali per Natale, il rubinetto perde e va aggiustato, voglio cercare un nuovo quadro per il soggiorno, starei proprio bene con quel cappello, devo proprio fare qualcosa per il mal di schiena, devo pensare a dove andare quest’anno in vacanza, non posso dimenticarmi di preparare qualcosa per il compleanno di mamma, voglio organizzare una cena il prossimo sabato, accidenti ho rotto un bicchiere e quando ti rialzi dopo aver raccolto gli ultimi pezzi ti rendi conto che di colpo sono passati anni.

Non ho mica capito, si è bloccata la fila? A che numero siamo arrivati? Come sarebbe il dodici, sono cinque anni che c’è il dodici allo sportello!

Anche se è presto per le mie solite riflessioni di fine anno, il 2021 mi ha già spiegato a chiare lettere che tutto quel tempo che pensiamo di avere non è che sia proprio garantito. Dopo il ricovero di papà per colpa di quel virus che da ormai quasi due anni ci impedisce di avere conversazioni normali (ma questo è un altro discorso), ho deciso che era ora di cambiare qualcosa.

Magari è anche la crisi dovuta all’età, sembra che più o meno tutti ce l’abbiano avuta una volta comparsi i capelli bianchi; o magari è stato il dover passare nell’arco di un giorno dallo scherzare al telefono con papà al dovergli portare una bombola d’ossigeno… Non mi importano particolarmente le ragioni, ma ormai avevo raggiunto una conclusione e, testone come sono, quando succede poi è incisa nel marmo.

E dire che sono sempre stato un sacco bravo ad aspettare il mio turno. Posato e diligente, ho sempre messo da parte soldi e desideri in attesa del mio turno. Non posso accompagnarti in Giappone, devo finire gli esami. Questo gruzzoletto prima o poi mi servirà per comprare una casa per la mia famiglia. Parigi ha l’aria di essere un posto bellissimo, non vedo l’ora di avere una ragazza per organizzarci un viaggio.

Non mi importava che fosse il mio turno o meno, ero stanco di stare in una coda che non scorreva mai. Era il momento di strappare a questa vita una soddisfazione, anche futile. Avevo senza dubbio aspettato abbastanza, senza fiatare, immobile in attesa di qualcosa, qualsiasi cosa, che non si decideva ad arrivare. Avevo bisogno di qualcosa che rendesse l’attesa un po’ più vivibile e la quotidianità un po’ meno insostenibile. Non mi aspettavo che capissero tutti: per quanto io sia bravo a spiegarmi, ho smesso da un po’ di tempo di credere tutti possano capire. In diversi però l’hanno fatto, o non si sono curati di dirmi il contrario. Rispetto entrambe le posizioni.

Ripeto, non è molto e magari tra qualche anno mi pentirò di questa scelta, perché mi precluderà altre opzioni. Magari è così, e il me del futuro mi odierà un po’ per aver fatto una spesa così azzardata. Oppure, anche se gli avrò reso la vita più dura, il me del futuro sarà indulgente con me, perché in fin dei conti lui una roba del genere non l’avrebbe mai fatta. Forse mi guarderà con ammirazione, chiedendosi cosa si prova a fare scelte un po’ più di petto, preoccupandosi delle conseguenze solo quando queste ci saranno e non un minuto prima.

Oppure magari (e dico magari), verrà finalmente il mio turno, e quando succederà al me del futuro non importerà niente di questa scelta, e anzi sarà felice di poter godere della mia spesa pazza anche lui.