Ti avevo mentito: non sarebbero stati dieci minuti. A mia parziale discolpa, non sapevo quanti sarebbero stati quando te li ho chiesti la prima volta, quindi ho preferito andare sul sicuro. Non sapevo che in realtà mi sarebbero bastati appena tre minuti e mezzo. Cinque, a voler essere fiscali, se includiamo le mie parole di preparazione di poco prima.

Spero che tu possa perdonare l’unica bugia che ti ho raccontato.

Non sto cercando di essere alternativo, non sto provando a fare il figo. Sto solo cercando di esserci. Dimmi, ci stai provando anche tu?

Il telefono dalla tasca destra del mio vecchio cappotto verde, stava silenziosamente inviando i suoi segnali all’altra tasca, dove una piccola cassa senza fili li interpretava, in modo tale che potessimo sentirli anche noi. Subito, le prime note della canzone che avevo scelto hanno iniziato a diffondersi nell’aria, creando l’illusione di un’orchestra che suonava soltanto per noi due, al centro della pista di pattinaggio del paese dove siamo cresciuti, nella notte di una delle ultime sere di Novembre.

Puoi sentire dov’è il vento? Puoi sentirlo, attraverso le finestre di questa stanza?

Eri in piedi davanti a me, con gli occhi chiusi. Non appena la canzone ha iniziato a suonare, rapidamente, le mie mani hanno raggiunto le tue, di nuovo, dopo tutto questo tempo. La mia mano sinistra ha preso la tua destra e l’ha sollevata verso l’esterno. La tenevo delicatamente tra le mie dita, così come ti ho sempre toccata. La mia mano destra ha preso la tua sinistra solo per un breve attimo, l’ha sollevata e l’ha poggiata sulla mia spalla destra, prima di spostarsi al suo posto, sulla tua scapola sinistra. Senza sapere di preciso il perché, ho chiuso gli occhi anche io.

Perché voglio toccarti piccola. Voglio sentirti. Voglio vedere il sole sorgere sui tuoi peccati, solo io e te.

Non me ne sono neanche reso conto, se non molto più tardi, quando ormai ero già tornato a casa, ma in questi pochissimi secondi di prologo della canzone, ti ho stretta veramente forte a me. Ora ricordo chiaramente la mia mano aperta sulla tua scapola, come per coprire quanto più possibile della tua schiena. Sentivo i tuoi capelli sfiorare il mio viso. Eravamo così vicini. Da quel momento, per i successivi tre minuti e ventotto secondi, sei stata di nuovo mia. A questo punto tu penso avessi già capito che cosa stava per succedere e credo che tu possa confermare, che non mi hai mai visto fare niente di più incredibile.

La canzone continuava inesorabile, il tempo correva veloce e io iniziavo a riflettere sul fatto che forse avrei dovuto sceglierne una più lunga. Fortunatamente però, quest’ultimo anno che ho trascorso accarezzando continuamente l’idea di poter avere i miei dieci minuti di tempo con te ha fatto sì che non mi perdessi dietro questi pensieri ormai inutili. Come in trance agonistica, senza aver mai veramente provato quello che mi apprestavo a fare, ma incredibilmente senza intoppi, ho fatto tutto quello che avrei dovuto, tutto quello che volevo fare, esattamente così come avrei dovuto farlo.

Accendilo. In fuga. Facciamo l’amore questa notte. Inventalo. Innamorati. Prova.

Ho tirato un profondo respiro, ho aspettato che la canzone entrasse nel vivo, e poi finalmente mi sono mosso. Come mi aveva insegnato il mio maestro, al primo tempo ho fatto un passo verso sinistra e ti ho portata con me. E tu mi hai seguito. Poi un altro, e un altro ancora e poi mi sono fermato. E tu con me. Al quinto tempo sono ripartito verso destra con un altro passo. Poi un altro e un altro ancora. Poi di nuovo fermi. A questo punto di certo non avevi più dubbi: sapevi che cosa stava succedendo e voglio sperare che questa cosa per te sia stata così incredibile da lasciarti per un attimo senza fiato, così come ancora oggi è per me incredibile al punto di lasciarmi senza parole tutte le volte in cui ci ripenso, molto più spesso di quanto vorrei dare a vedere.

Stavamo ballando, E. Io e te! Ballando! Io e te! Ci pensi?

Ma tu non sarai mai sola. Ti aspetterò dal tramonto all’alba. Ti aspetterò dal tramonto all’alba. Piccola, sono proprio qui.

Stavi ballando con me! Con me! Io, che non ho mai mosso un passo in vita mia! Io che non ho mai sentito la minima necessità o il minimo desiderio di ballare! Io che guardavo la gente muoversi a ritmo di musica senza capire che cosa li portasse a fare quello che stavano facendo, come se improvvisamente tutti si fossero fatti prendere da qualche strana inspiegabile frenesia di gruppo! Io che passavo le serate seduto a rompermi le palle quando ci trovavamo per qualche motivo vicino ad una pista da ballo! Io che ti guardavo pieno di gelosia perché qualcun altro ballava con te! Io che mi sono sempre ritenuto la persona più lontana dal ballo dell’intero pianeta! Io che nemmeno ascolto musica! Io! Io stavo ballando con te!

Un anno e mezzo fa, completamente distrutto, raso al suolo, senza un futuro, senza una prospettiva, senza una certezza, senza interessi e senza forze, senza più voglia di vivere e senza la forza di morire, io che non somigliavo più neanche a me stesso, sono stato un intero fine settimana a ballare. Ho preso lezioni. Ho chiesto ad amici di aiutarmi. Ho guardato videocorsi e provato per ore. Muovevo pochi, impacciati e difficilissimi passi mentre sulla mia faccia scorrevano fiumi di pianto. Ti avevo promesso che ci saremmo iscritti ad un corso di ballo quando saremmo andati a vivere insieme, perché per quanto non mi interessasse minimamente l’idea di ballare, per quanto non provassi neanche un briciolo di curiosità, sapevo che mi sarebbe piaciuto farlo con te. Sapevo che mi sarebbe piaciuto poter fare con te anche un solo ballo, invece di stare sempre in disparte a guardarti, colmo di gelosia, ballare con qualcun altro, fosse anche stato tuo padre. Ho pensato che, magari, se avessi ballato con te, sarebbe potuto cambiare qualcosa. Un ballo solo. Il più semplice. Una sola canzone. Pochi passi, incerti, timorosi, faticosissimi. Tu avresti capito, avresti apprezzato lo sforzo sovrumano che avevo fatto, tutto in pochi giorni, per dimostrarti che per te ero disposto a fare qualsiasi cosa, per dimostrarti che per te sarei stato capace di superare ogni mia paura ed ogni mio strutturale limite umano. Per dimostrarti quanto ti amassi e quanto tu stessi facendo uno sbaglio a buttare via tutto quanto. Tu avresti visto, e avresti capito, ne sono ancora certo. Avresti visto e avresti capito, se solo mi avessi dato i maledetti, inutili, miserabili, fondamentali, insignificanti dieci minuti che mi avevi promesso. Tu avresti visto la luna, la più grande, bella, splendente luna che fossi riuscito a trovare, nelle più remote profondità della galassia. Io ce l’avevo. Era per te, per te solamente. Eccola.

Ti stringerò quando le cose andranno male. Ti aspetterò dal tramonto all’alba. Ti aspetterò dal tramonto all’alba. Piccola sono proprio qui!

Stavamo ballando, insieme, e finalmente era bellissimo, più di quanto avessi potuto immaginare. Non perfetto, no. Per quello sarebbero serviti tempo, pazienza e pratica. Ma bellissimo, quello sì. Giravamo, di nuovo insieme, sulla pista di pattinaggio dei giardini, coperta di pozzanghere. Ci allontanavamo, e avvicinavamo. Giravi tu. Giravo io. Giravamo di nuovo insieme. Ridevamo. Sbagliavamo insieme. Come al solito, non mi davi retta e come al solito, non importava. Se non fossimo stati da soli, ai giardini, quella notte; se ci fosse stato qualcun altro, lì a guardarci ballare, chiunque fosse stato, sia che ci conoscesse, sia che non avesse idea di chi fossimo, sia che fosse stato un maestro di ballo, sia che fosse stato un completo ignorante in materia, quella sera avrebbe senza dubbio detto che eravamo, di nuovo, bellissimi.