È passata una settimana dagli eventi raccontati nella puntata precedente. È stata una settimana strana e piena di messaggi, telefonate e pensieri, ma anche di eventi scollegati da questa vicenda. I più importanti finiranno in un altro articolo ancora (ve l’ho detto che me ne sono successe di cose!), per il resto, ecco com’è andata la storia.

Era il secondo sabato sera che, nonostante non avessi più impegni universitari ad impormelo, trascorrevo praticamente da solo a casa. Ma la mattina seguente mi sarei dovuto alzare presto, per tornare a Roma da lei, quindi si trattava di un sacrificio accettabile. Nel frattempo lei stava festeggiando il suo compleanno con gli amici, e mi ha telefonato per raccontarmi qualcuno degli eventi della serata. Poi per me era il momento di chiudere gli occhi, e di riposarmi per un altro giorno faticoso, ma indimenticabile.

Mentre ero a letto sotto le coperte, ripensavo alla seconda vita appena conclusa, e fantasticavo sull’inizio della mia terza vita. Stavo assistendo all’inizio della mia vita da pendolare? Oppure forse alla mia vita nella capitale? Oppure ancora qualcosa di diverso ed inatteso? Di nuovo, prendere sonno si rivelava un’impresa più difficile del previsto. La mattina dopo la sveglia mi aspettava alle 6:30, il mio primo pensiero è stato “Ma chi me l’ha fatto fare?”. Il sonno della domenica è una cosa sacra. Ma bisogna pur fare dei sacrifici… Il pensiero seguente è stato “Poi quando sono lì mi passa.”. Ed avevo ragione, mi è passato.

Alla stazione non c’era nessuno ad aspettarmi, colpa dei ritardi dei mezzi pubblici, ma non è stata una lunga attesa la mia. Pochi minuti in più per un bacio che aspettavo da una settimana infinita non erano niente. Abbiamo fatto colazione insieme, e ci siamo rimessi a passeggiare per le strade di Roma, in una domenica più accogliente e tiepida della precedente. Anche questa volta avevo con me la mia fida Polaroid SX70, ma in borsa avevo altre due cose. La prima era un paio di guanti, il mio regalo di compleanno per lei, per ricordare quei momenti della settimana precedente a cui ho ripensato spesso. La seconda cosa era una foglia della mia corona d’alloro, come portafortuna per i suoi esami. Mi ha fatto una strana sensazione staccarla da dove si trovava, ma era un gesto che lei avrebbe sicuramente apprezzato

Le nostre mani si sono trovate subito, e non si sono lasciate a lungo, abbiamo di nuovo camminato per le strade di Roma raccontando noi stessi, siamo stati a lungo seduti, abbracciati nel tiepido sole di Marzo. E non c’era un altro posto dove sarei potuto stare meglio. Una sua frase però ha disturbato quell’atmosfera serena, poteva essere facilmente confusa con un’espressione uscita male, oppure poteva essere il primo pezzo di calcinaccio che viene giù da un soffitto che non reggerà ancora a lungo.

“Se questa storia dovesse finire, spero conserverai un bel ricordo di me.”

Che senso avevano queste parole? Perché le erano venute in mente proprio ora? Perché aveva sentito di doverle dire? Sono spuntate tante domande, ma non sono durate a lungo, e sono passate in secondo piano nel giro di qualche minuto, dopo un tentativo di chiarificarle che a pensarci bene non era esattamente riuscito nel suo intento.

Gli argomenti di conversazione non mancavano, si avvicinava anche l’ora di pranzo, così ci siamo spostati in un bar. Era il secondo “Pantagruelico Pranzo Domenicale Della Nonna” consecutivo a cui mancavo, situazione normalmente giustificata solo da malattie o altri eventi particolarmente gravi o eccezionali. Ed in effetti il fatto che fossi a pranzo con una ragazza poteva essere considerato un evento particolarmente eccezionale.

La sera prima le avevano regalato un Samsung Galaxy S3 Mini. Un bel gioiellino, e lei ha aspettato me per avviarlo la prima volta. Come non apprezzare un gesto del genere? Però qualcosa non andava, non c’era la stessa atmosfera della mattina, del resto della settimana, o della domenica precedente. Problemi di digestione forse? Una mia sensazione sbagliata magari? Però neanche la foto con la Polaroid aveva la stessa magia dell’altra, ed una foto è più difficile che abbia un’impressione sbagliata della realtà… Infatti, poco dopo, è venuto giù il soffitto.

“Non possiamo continuare, non sarebbe giusto.”

La prima di una serie di frasi sconclusionate ed incomprensibili, per me insensate. Maldestri artifici linguistici per spiegare, senza realmente farlo, quello che stava accadendo. Anzi, quello che era già accaduto.

Volete sapere cos’è successo? Anche io. Le ho  detto che non potevo dare il giusto peso alle sue parole, perché non poteva essere sicura di quello che stava dicendo o facendo. Se fosse stata sicura delle sue azioni, non ci sarebbe stato bisogno di arrivare a Roma per sentirmi dire quelle parole. Se fosse stata convinta delle sue intenzioni, la settimana precedente non mi avrebbe parlato di cercare lavoro a Roma o di conoscere la sua famiglia. Se fosse stata certa dei suoi sentimenti, questa storia non sarebbe esistita per niente. Oppure esisterebbe ancora. Ma in conclusione, non so cos’è successo di preciso. Le spiegazioni ufficiali non hanno mai veramente spiegato niente di questa storia. Ci ho dovuto mettere su delle spiegazioni tutte mie per trovare una ragione ed un qualcosa da maledire. Ovviamente non posso avere la certezza di aver trovato le spiegazioni giuste… Ma solitamente sono bravo a spiegarmi le cose nel modo giusto… Tutti quei libri di Sherlock Holmes sono serviti a qualcosa.

Così, intorno alle tre (o forse alle quattro, non ho pensato di tenere il conto del tempo), si sgretolava questa storia che vi ho raccontato. Nel frattempo però era iniziato un film horror su quella stessa rete, e nessuno mi aveva avvisato.

Ero di nuovo nella scomoda e terribile situazione dell’essere fisicamente ad un solo respiro di distanza da una persona, che però sentivo chiaramente a decine di chilometri di distanza, irraggiungibile su un’isola in mezzo all’oceano, con lo sguardo rivolto altrove. E questa volta ho potuto anche sperimentare cosa significasse trovarsi in questa situazione per quattro o cinque interminabili ore, fatte di lunghi silenzi imbarazzanti, di domande senza una risposta, di risposte sbagliate a domande stupide, di rassegnazione, di rabbia, di vuoto e di tante altre spiacevoli cose tutte ben amalgamate.

È più o meno come trovarsi ad un funerale, solo che è durato molto di più, e non c’era nessuno con cui parlare per allontanare il dolore.

Le ho detto diverse volte che poteva andarsene tranquillamente. Un modo per tornare alla stazione l’avrei di certo trovato, e nel frattempo avrei potuto girare in compagnia della mia solitudine per le strade di Roma. Lei non se n’è voluta andare, e io non me la sono sentita di insistere con più forza. Avevo paura che chiederle ancora di andarsene sarebbe stato ancora peggio. Siamo tornati in stazione. Continuavo a chiedermi perché stessimo ancora girando insieme. Alla fine, quando sono arrivato al binario dove mi aspettava il treno, le ho chiesto di nuovo di andarsene, anche se io sarei dovuto rimanere lì ad aspettare per ancora una mezz’ora. Era già stato tutto più doloroso di quanto non fosse necessario.

Come ci si saluta in una situazione del genere? Quali sono le parole giuste? Non mi ricordo quali ho usato. Mi ricordo solo che, veramente senza una ragione, mi ha dato un altro bacio. Il bacio di una bambina, sulle labbra, “a stampo”. Le ho chiesto il perché di quell’azione, ma non aveva una risposta. da darmi Le ho detto di non farlo mai più, perché più che un gesto di… Amore? Affetto? Compassione? Scuse? Non lo so. Comunque, più che un gesto del genere, l’ho sentito come una coltellata, decisa e profonda.

Mi sono voltato e sono salito sul treno a cercare il mio posto che, per una curiosa coincidenza, era lo stesso della settimana precedente.

Questa volta però, quando mi sono seduto, non c’era nessuno a cercare il mio sguardo, fuori dal finestrino.

(Continua…)

Non capisco cosa sia

quest’inferno d’assurdità

forse è tutta una gran pazzia

ma dov’è la normalità?