Questo articolo non era previsto.  Il primo articolo dell’anno è un articolo che fa il riassunto dell’anno precedente, ed avevo in mente di posticipare questo articolo fino a fine Febbraio, facendo di fatto durare il 2012 un paio di mesi in più. Non era una brutta idea, il 2012 è stato un buon anno per me, poteva tranquillamente durare anche un anno e mezzo o due (?).

Però capitano gli imprevisti, ed ho deciso che il 2012 è finito quando sarebbe dovuto finire, ma l’articolo-riassunto è stato posticipato. Per ora una tastiera ed uno schermo bianco sono tutto quello di cui ho bisogno per sfogarmi un po’.

Oggi vi racconterò la storia del mio caro amico Michele.

Frequentavo il Liceo Linguistico, ed il tempo trascorreva frenetico, ma senza grosse sorprese. Tutti i giorni uscivo da scuola un’ora dopo di tutto il resto dell’istituto, perché noi fortunelli del Linguistico sperimentale facevamo 6 ore di lezione al giorno invece di 5, e me ne stavo un’altra mezz’ora o tre quarti d’ora ad aspettare l’autobus (perché quello che passava per casa mia era l’ultimo a farsi vedere davanti al liceo).

Restavamo in 4 o 5 alla fermata, più o meno ci conoscevamo tutti, ma un giorno scesero dalla parte alta della città altri 4 ragazzi. Loro frequentavano il Liceo Scientifico, ed avevano deciso di variare la loro routine giornaliera arrivando a prendere l’autobus alla fermata del linguistico. Non ricordo bene come sia successo, ma abbiamo iniziato a parlare, e così il gruppo sgangherato degli “ultimi” alla fermata dell’autobus si arricchì di altri 3 o 4 individui. A volte scendevano altre persone con loro, ma gli irriducibili erano tre e tra di essi c’era Michele.

Michele era un tipo come me, era un secchione. Un termine spregevole che non dovrebbe significare altro se non che si impegnava a scuola. Si vedeva già da allora che era un tipo in gamba, che si dava da fare con lo studio e che portava degli ottimi risultati. Oltre a cavarsela bene in fisica, matematica, latino, conosceva molto bene l’Inglese e ne capiva a secchi di informatica. Era un linuxaro, e mentre io perdevo tempo  su IRC, lui col suo modesto 56K scaricava sorgenti e ricompilava kernel, per migliorare di qualche granello le performance del suo vecchio computer.

Alto e magro, pallido, un po’ impacciato, con una risata inconfondibile, i capelli corti, la barba un po’ incolta e gli occhiali da vista, ovali, e sempre puliti. In lui ho sempre rivisto un po’ di me stesso, come riflesso allo specchio. Ero più alto, ma forse anche più pallido e più impacciato. Abbiamo passato ore a parlare di informatica, di scuola, di articoli interessanti rimediati su internet, di quale distro installare e di componenti per pc. Aveva un anno più di me, quindi mentre io stavo ancora combattendo con le materie del quinto anno e con l’esame di maturità, lui si trovava già all’università, a studiare fisica ed ad affrontare i suoi primi esami. Ci siamo ritrovati l’anno successivo, perché io iniziavo ad addentrarmi nel bislacco mondo del dipartimento di matematica ed informatica, e spesso ci incontravamo in treno, in autobus, o nel parcheggio fuori dalla facoltà, visto che erano attaccate.

Era sempre un piacere incontrarlo e scambiare quattro chiacchiere con lui, ma ovviamente non si sarebbe fermato in università a lungo. Si è spostato a Roma a fare la specialistica, mentre io sono rimasto qui, ma ci sentivamo ancora, su Google+ prima, su Twitter poi. Era una presenza lontana, ma quasi giornaliera, siamo rimasti in contatto, da vecchi amici quali eravamo. Una settimana fa mi ha invitato alla discussione della sua tesi di laurea magistrale, il prossimo 28 gennaio, e mi sarebbe veramente piaciuto andare, tornare a Roma e vedere Michele con la corona d’alloro. Michele ha lavorato sodo: le università scientifiche non sono una passeggiata, e per lui sono stati anni di studio e di sacrifici. Per me la fisica è una materia arcana e misteriosa, e posso solo immaginare quanto possa essere complicato affrontare cinque anni di università. Ma ormai Michele ce l’aveva fatta, ancora qualche giorno ed avrebbe avuto la sua laurea, raccogliendo i frutti del suo lavoro, e diventando finalmente libero di fare qualcosa di importante con la sua vita.

Poi, invece, piove dal cielo un imprevisto. Possiamo chiamarlo fulmine. Senza una spiegazione, senza un preavviso, a pochi giorni dal traguardo, cade un fulmine.

Vorrei poter raccontare la storia di come Michele si sia realizzato, di come abbia dato il suo contributo al mondo, aiutando a dipanare qualcuno dei misteri che ancora caratterizzano la nostra conoscenza dell’universo e dei suoi meccanismi.

Vorrei. Ma un fulmine ha deciso diversamente.

Ciao Michele.

Waiting for the bus