Dirigersi, soli, in silenzio, lontano. Dove, non fa differenza, l’importante è che sia veramente lontano. Lontano da tutti, lontano da ogni forma di vita, lontano dagli amici, dai parenti, dai rompicoglioni, dai passanti. Lontano.
In mezzo ad un campo, o tra i sentieri tutti uguali di un bosco sconosciuto, dentro gli scavi di un cantiere deserto, o sulla cima di un monte, da cui poter guardare con distacco il resto del mondo, perché in quel momento il resto del mondo non conta niente.
Immergersi nei pensieri, soli, seguire il filo di ogni ragionamento, raggiungere il nodo in cui si intreccia col prossimo e ripartire da capo. E così, ancora e ancora, sapendo che non c’è via di fuga da quel labirinto di pensieri, consapevoli che la soluzione non può trovarsi in nessuno di quegli intrecci, su nessuno di quei fili, e quasi certamente neanche nell’insieme di quella confusione di nodi. Ricominciare da capo, raggiungere la stessa conclusione, e provarci lo stesso ancora, fino allo sfinimento.

Raggiungere lo sfinimento.
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