Versione in ricostruzione

Trecentosessantacinque.

Quante cose capitano in un anno.
Quante cose strane.
Avevo già pensato di fare un paragone con quanto succedeva un anno fa, anche se non pensavo di doverlo fare in questi termini.

Domani, un anno fa.
Domani era il 15 maggio. Domani un anno fa io e Lily cominciavamo a sentirci più spesso, e lei mi confessava che per me provava qualcosa di diverso da un’amicizia.
Tra due giorni, un anno fa, andavo dal mio ortopedico per una visita di controllo, e finalmente mi comunicava che potevo togliermi il busto. Due bellissimi eventi in due giorni.
Tra sei giorni, un anno fa, Lily mi veniva a trovare in treno per passare una splendida serata con me, nel disperato tentativo di vedere “Notting Hill”, senza successo.

Quante cose sono successe in un anno. Tra me e Lily le cose sono andate a targhe alterne per poi sprofondare e lentamente ristabilirsi, abbiamo litigato e pianto, e urlato e alla fine bene o male ci siamo riappacificati. Sono successe tante cose in questo anno, davvero tante, ma mai mi sarei aspettato di finire col doverci riflettere seduto sulla sedia della cucina di mia nonna, collegato ad internet con il cellulare con la linea che salta quando le gira.
Mai mi sarei aspettato che, un anno dopo essere stata la persona più felice sulla faccia della terra, mi sarei trovato ospite in una casa non mia.
Senza una casa.
Senza una famiglia.
Non avrei mai neanche pensato di dover lasciare quella casa che per anni ho visto come un sogno, che ho visto crescere mattone su mattone, dove non avevo bisogno di altro.
Non avrei mai neanche lontanamente pensato che avrei dovuto guardare da fuori della recinzione, delle altre persone vivere dentro quella casa. Dietro quel cancello con le mie iniziali scritte sopra.

Mi ricordo di una videocassetta che da piccolo ho visto molte volte. Il cartone animato della Disney “Zio Paperone alla ricerca della lampada perduta“, in cui Zio Paperone vede portarsi via tutti i suoi averi. La casa, i soldi, tutti i suoi possedimenti, il deposito. Ricordo la scena in cui lui si dispera, vedendo che il simbolo del dollaro disegnato sull’esterno del deposito e che per lui rappresentava la sua firma, il segno che quel deposito era suo, sostituito da un altro simbolo. Non credevo che mi sarebbe potuto mancare così tanto quel giardino dove a stento passavo 10 minuti, quella camera dove restavo solo a dormire, o lo studio nel fresco seminterrato dove passavo praticamente tutta l’estate, tra internet e programmazione.
Vendere.
Che senso ha?
Sento che sto per crollare.
Mi dicono di non preoccuparmi, che mi troveranno una nuova casa dove vivere, e che tornerò a ridere.
Ma io non voglio una nuova casa. Io non voglio un’ALTRA casa.
Non serve a niente.
Non serve a niente.
Cosa mi resta?
Cosa mi resta veramente?
Poche cose.
L’unica cosa che sento mi sia rimasta, sono alcuni amici. E amiche. Quelli veri, quelli che ci sono anche se non sono lì, perchè mi fanno anche solo uno squillo, o mi mandano un messaggio, due risate il sabato sera. Senza ingombrare, senza chiedere ogni santo giorno come va, come se nella notte avvenisse un miracolo che fa piovere dal cielo la soluzione perfetta a tutto questo casino.
Ma ci sono, e non si dimenticano di me.

1 commento

  1. Lo Zio

    Su con la vita, ti ho trovato un filmetto che ti strapperà qualche risata !!!!

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