La vita di un profugo comincia alle 7.
10 minuti prima che la sua sveglia suoni.

Infatti prima, suona la sveglia in camera dei miei nonni, che siccome sono un po’ duri d’orecchi, finchè il volume della suoneria non raggiunge il 30 decibel, non si accorgono di niente, mentre il profugo ha i maroni trapanati già di prima mattina.
Alle 7:08 invece, il nonno chiama il profugo con voce addormentata, per assicurarsi che non si sia riaddormentato. Due minuti dopo la sveglia del profugo suona, richiamandolo al suo dovere.
Il profugo si alza e si prepara per uscire, scende le scale e recupera il suo zaino da dentro il garage, lo carica in macchina e guida fino a scuola.
Qui segue più o meno distrattamente quello che gli accade intorno, nonostante quello che sta vivendo sia il periodo più importante della sua vita da studente. La sua preparazione per gli esami non è neanche lontanamente prossima al livello su cui invece dovrebbe essersi attestata, e non accenna a schiodarsi da dove invece è rimasta.
Finita la lezione risale nella sua scatoletta grigia e guida di nuovo fino a casa dei suoi nonni, dove pranza nel garage dove loro passano tutta la giornata. Perchè da quando c’è stato il terremoto, la vita dei suoi nonni si svolge quasi interamente in garage, perchè sua nonna così non deve preoccuparsi di pulire l’appartamento, perchè non si sporcherà. Nonostante tutto, ogni santo giorno, lei pulisce ogni angolo dell’appartamento, nonostante la sua salute dovrebbe impedirglielo, per poi lamentarsi per tutto il tempo dei dolori che sente.
Dopo il pranzo sceglie i libri che gli servono per il pomeriggio, e sale di sopra, dove non essendoci nessuno non può essere disturbato, e si dedica allo studio.
Durante il pomeriggio il telefono squillerà varie volte, ed i nonni non si preoccuperanno mai di rispondere, perchè al piano di sopra sono convinti di avere un centralinista che gli passerà le telefonate, e che non ha un cazzo di meglio da fare che rispondere al telefono. Nonostante ciò, chiusi nel loro garage, si assicureranno di tenere la televisione accesa in modo da non sentire quando il profugo li chiamerà al citofono per avvertirli che c’è una telefonata per loro, costringendolo a 4 rampe di scale per andarli ad avvisare.
Dopodichè il profugo vorrà concedersi una doccia. Sacrilegio.
La nonna non permetterà mai che il profugo si faccia una doccia, perchè i vetri cristallini della stessa resterebbero macchiati. Neanche se il profugo si occupasse di pulirla accuratamente, perchè ovviamente nessuno saprebbe riportare i vetri della doccia al loro splendore. Per fare una doccia il profugo dovrà fare i bagagli e spostarsi a casa di sua madre. Così è costretto sventrare tutti gli armadi alla ricerca delle sue cose, che sono state imboscate dietro ad altri vestiti, o sotto ad altri vestiti, o DENTRO altri vestiti.
Questo perchè ogni anta, ogni cassetto ed ogni scomparto degli armadi è ordinato per colore, ed i vestiti del profugo non rientrando nella scala cromatica preesistente, devono essere nascosti in modo da non interferire con la stessa.
Ed ecco che le calze sono in una busta, le mutande in 2 diversi cassette, le maglie scure sono nascoste dentro una sottana perchè si trovano nel cassetto con l’intimo chiaro, e le felpe sono mimetizzate sotto alle maglie.
Dopo l’operazione di ricerca e di immagazinamento, il profugo salterà di nuovo nella sua micro-machine per fare 4 volte il giro dell’isolato dove vive sua madre per cercare un parcheggio. Lo troverà solo ad una distanza inumana.
E dovrà fare il tragitto sotto la pioggia.
Perchè Dio avrà deciso di inviare la pioggia quel giorno.
In quel momento.
Salite le scale e disposto tutto il necessario, il profugo si farà l’agognata doccia, che si trasformerà in una terribile tortura perchè la doccia della mamma opera solo a due diverse temperature “Inverno a Oslo quando fa freddo” e “Lava delle Hawaii”. E soprattutto la doccia deciderà di sua spontanea volontà di passare da una all’altra delle tue temperature.
Il profugo tornerà poi a cena dai suoi nonni, nel sempreverde garage, ed al termine del pasto aiuterà gli stessi a ridisporre il tavolo e le sedie in modo che il garage, da improvvisato soggiorno, ritorni alla sua funzione originaria.
Il profugo spingerà dentro l’auto del nonno, e poi lascerà la sua sotto il porticato, tornerà di sopra ed accenderà il suo portatile. Si collegherà ad internet col suo cellulare (unica ancora di salvezza) e tenterà di scrivere un articolo sul suo blog, fino a quando la nonna non deciderà di appoggiarsi sul cavo che collega il cellulare al portatile, provocando una inattesa quanto simpatica disconnessione.
Se ne andrà a letto alla fine, in un letto non suo, e si preparerà a svegliarsi di nuovo, in un mondo che gli è estraneo, e dal quale vorrebbe fuggire ogni giorno di più.